CHI SONO I CAREGIVER? Buone prassi per l’assistenza del familiare con demenza

Chi sono i caregiver?

Il caregiver è colei o colui che assiste, che presta le cure, che prende in carico una persona bisognosa, malata, disabile o comunque non più autosufficiente e quindi non più in grado di provvedere autonomamente alla cura di sé.
Ancora oggi, l’assistenza del familiare malato/disabile/anziano è prerogativa quasi del tutto esclusiva della famiglia, e come accade nella maggior parte dei casi è un solo familiare (il genitore, il figlio, il coniuge) a farsi carico del congiunto. In Letteratura, per riferirsi ai familiari accudenti che agiscono in un ambiente “privato”, privi di ricompensi finanziari e diritti, viene correntemente utilizzata l’espressione Caregivers informali o familiari per distinguerli da quelli formali/professionali.

Quanti caregiver in Italia?

In Italia, secondo i dati ISTAT 2015, sono 7,3 milioni (il 14,9% della popolazione) i caregiver familiari. La maggior parte sono donne di età compresa tra 45 e 64, che nel pieno della loro vita sociale, relazionale e professionale vedono tutto d’un tratto sconvolti i loro piani.
Sebbene non è possibile prescindere dall’impatto che una diagnosi di demenza ha sul piano emotivo-affettivo, sono rilevanti anche i cambiamenti sul versante pratico-organizzativo e ingente è il peso di cui deve farsi carico il caregiver.
Dall’indagine CENSIS (2007) emerge, infatti, che in Italia il 47,7% dei caregiver occupati è costretto ad operare cambiamenti soprattutto rispetto ad alcuni aspetti della propria vita professionale: spesso si trovano a dover richiedere un part-time, a cambiare lavoro o addirittura a lasciare il proprio impiego per dedicarsi completamente all’assistenza e alla cura del familiare malato.

L’impegno del caregiver

I caregiver dedicano mediamente sei ore giornaliere all’assistenza diretta, attività che comprende le cure igieniche, l’alimentazione, la somministrazione della terapia, mentre altre ore sono dedicate alla “sorveglianza” del malato. Non di rado questo si accompagna ad una serie di rinunce anche in ambito sociale e relazionale, basti pensare all’inevitabile riduzione della partecipazione alla vita sociale a causa dell’impegno costante che richiede la cura del familiare malato, con il rischio di ritiro e isolamento. I membri della famiglia, diventati caregiver, svolgono un vero e proprio “lavoro” e assumono un ruolo, quello dell’accudimento, per il quale sono molto spesso impreparati e non formati. I loro compiti costituiscono un ampio ventaglio di mansioni e responsabilità, tuttavia, come generalmente accade, intraprendono la loro “inaspettata carriera” senza averlo deciso, e talvolta senza supporto e senza le necessarie competenze. Il ruolo del caregiver è tanto più complesso quanto più il paziente richiede trattamenti complessi e/o prolungati e quanto più il paziente presenta limitazioni funzionali che ne riducono la sua autonomia fisica, psichica e sociale.

Quali sono le conseguenze psico-fisiche?

La maggior parte dei caregiver di pazienti affetti da Demenza, affronta un lungo periodo, che va dai tre ai quindici anni, di continue richieste fisiche e psicosociali. E proprio questa esposizione prolungata a fattori di stress cronici comporta un serie di conseguenze dannose sulla salute fisica, sul benessere psicologico, sulla qualità della vita e persino, come dimostrato da recenti ricerche, sul funzionamento cognitivo.
Un costrutto recente, divenuto nel tempo tema di grande interesse nella letteratura, è il concetto di “caregiver burden”, ovvero il grado in cui la salute fisica e psichica, la vita sociale e lo status economico del caregiver entrano in uno stato di sofferenza a causa dell’attività di cura. Una metanalisi condotta su 176 studi rivela che il caregiving è un vero e proprio “stressor” capace quindi di generare un forte impatto sulla salute. Il corpo reagisce allo stress dando avvio a una sequenza complessa di risposte fisiologiche che se prolungate nel tempo, diventano dannose. Inoltre, lo stress contribuisce alla messa in atto di comportamenti a rischio e stili di vita non adeguati (un’alimentazione inadeguata, uno stile di vita sedentario, abuso di farmaci, carenza di sonno).  
La ricerca empirica dimostra che i caregiver sperimentano sintomi depressivi e livelli più elevati di ansia. Inoltre, studi recenti recenti hanno rivelato che il caregiving ha anche un impatto sul funzionamento cognitivo. Lo stress cronico si associa a un decremento della abilità di memoria, attenzione e velocità di elaborazione, compiti in cui i caregiver ottengono prestazioni peggiori. I caregiver hanno, inoltre, livelli più bassi sia di benessere soggettivo che di self-efficay e riferiscono un minor senso di soddisfazione e gratificazione. Prevalgono, invece, sentimenti negativi, di frustrazione, tristezza, delusione, angoscia, paura e senso di colpa. A essere in pericolo è il benessere psico-fisico e la qualità della vita del caregiver, il cui declino non sorprendentemente, si collega anche ad un peggioramento delle condizioni generali del paziente stesso.

Indicazioni utili per l’assistenza del familiare con demenza

A incidere negativamente sullo stato di salute del caregiver sono prevalentemente i disturbi del comportamento manifestati dal paziente, in particolar modo l’aggressività, il wandering e la presenza di un concomitante stato depressivo. Inoltre, maggiore è la consapevolezza che il malato ha del proprio deterioramento e dalla progressività dei deficit di memoria, maggiore è l’effetto negativo sullo stato di salute di chi lo assiste. Nonostante sia appurato che il “caregiving” è associato a più alti tassi di “disagio” e “malessere”, giocano un ruolo rilevante anche le caratteristiche proprie del caregiver. La letteratura mostra, infatti, che esiste una grande variabilità interindividuale. Risorse e fattori di vulnerabilità fungono da mediatori tra il “caregiving” e le conseguenze sulla salute psico-fisica. Diversi studi hanno preso in esame variabili psicologiche capaci di influire positivamente sullo stress del caregiver. In particolar modo l’autoefficacia, ovvero la percezione di riuscire ad agire efficacemente nei diversi compiti a cui sono tipicamente chiamati i caregiver, e il “sense of mastery”, che letteralmente significa “senso di padronanza”, sono variabili che moderano la relazione tra stress e benessere. Avere una maggiore percezione di controllo sulla situazione, sentirsi più abili, “competenti” e quindi efficaci riduce lo stress associato al caregiving. Rilevante è anche il ruolo degli stili individuali di “coping”. I caregiver che utilizzano prevalentemente strategie di coping centrate sulle emozioni (confidare in Dio, sperare in un miracolo…) più frequentemente incorrono in “burnout”. Le strategie centrate sul problema, come affrontare il problema, individuare strategie di gestione efficaci, fare qualcosa concretamente per risolvere il problema, conoscere il problema, accettare il problema, cercare aiuti e supporti, sembrerebbero essere un vero e proprio fattore di protezione che riduce, sensibilmente, il rischio di andare incontro a tutte le conseguenze negative correlate all’attività di assistenza. Infine, da non sottovalutare, l’estrema importanza del prendersi cura di sé e del non rinunciare a ritagliarsi degli spazi per se stesso con l’obiettivo di preservare, il più possibile, la salute fisica e psicologica. Diventa, pertanto fondamentale promuovere interventi volti ad incrementare nel caregiver capacità, competenze, conoscenze e attitudini necessarie per essere in grado di svolgere l’inaspettato nuovo “ruolo” con successo e per vivere questa esperienza con più gratificazione e meno angoscia possibile.

Articolo scritto in collaborazione con la Dott.ssa Giulia Bruni

Bibliografia utile

  • Bartorelli L, Manuale del caregiver, Roma, 2008, Carocci Faber.
  • Bianchetti, A., Trabucchi, M. Alzheimer. Il Mulino (2010).
  • Cesa-Bianchi e coll. Invecchiamento Biologico e Psicologico. Estratto dal libro di testo Paolo Moderato, Francesco Rovetto, Psicologo: verso la professione,cap.04 (01-18).
  • De Beni, R., Borella, E. Manuale di psicologia dell’invecchiamento. Il Mulino, Bologna (2009).
  • Pinquart M., Sorensen S. (2003). Differences between caregivers and noncaregiver in psychological health and psysical health: A meta-analysis. Psychology and Aging; 18(2):250-267.
  • Prandelli, S., Faggian, S., Pavan, G. Protocolli di intervento per le demenze. Franco Angeli (2008).
  • This guideline replaces ‘Guideline on medicinal products for the treatment of Alzheimer’s disease and other dementias’ (CPMP/EWP/553/95 Rev. 1). European Medicines Agency, 2018.
  • Trabucchi M. Le demenze. Milano: UTET, 2005.

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