Come discriminare l’invecchiamento sano da quello patologico

Con l’aumento della speranza di vita nei paesi industrializzati, la prevalenza delle malattie legate all’età si fa sempre più elevata.
Gli esseri umani da sempre hanno cercato di combattere l’invecchiamento tentando di allungare la vita, alla ricerca dell’eterna giovinezza. Se nell’antichità si ricorreva a pozioni, rituali e alimenti magici oggi, per evitare i segni del tempo si fanno diete, si utilizzano sostanze chimiche e integratori.
Il cervello, è stato l’organo maggiormente studiato per capire quali modificazioni intervengono con il passare degli anni. I principali cambiamenti rilevati consistono:
– nella diminuzione irreversibile nel numero dei neuroni (le cellule specifiche del si- stema nervoso) le quali, quando muoiono, non possono essere sostituite;
– nel rallentamento progressivo nella produzione di certi neurotrasmettitori (le sostanze chimiche necessarie alla trasmissione degli impulsi nervosi), la quale risulta così sempre più compromessa;
– nel funzionamento sempre meno efficace dei meccanismi di regolazione che consentono la conservazione di una condizione di equilibrio fra le singole funzioni;
– nell’aumento progressivo, nel cervello, delle cellule gliali, che costituiscono la trama di sostegno e che vengono a sostituirsi ai neuroni;
– nella comparsa di “placche” (una specie di cicatrici), dette “senili” perché ritenute esclusive dell’età avanzata;
– nel progressivo irrigidimento nelle pareti dei vasi sanguigni, con conseguente ridu-zione dell’afflusso di sangue al cervello e alterazione nella regolarità e nel ritmo di tale afflusso.
L’insieme dei lavori sull’invecchiamento cerebrale strutturale, neurochimico e metabolico, riportano un’immagine relativamente coerente di effetti differenziali con l’avanzare dell’età. La corteccia frontale, con connessioni che collegano al resto del cervello mostra ampie alterazioni, come pure avviene per l’ippocampo che è sensibile agli effetti deleteri dell’età. Sul piano funzionale queste regioni sono coinvolte rispettivamente nel controllo esecutivo o attentivo e nella memoria episodica. In questo caso, i dati neuroanatomici convergono con quelli comportamentali, dimostrando che le due funzioni declinano fortemente con l’avanzare dell’età. A differenza della corteccia frontale e dell’ippocampo, le regioni corticali temporali, parietali inferiori e occipitali appaiono poco sensibili agli effetti dell’età. Il mantenimento dell’integrità del volume di queste regioni e delle loro connessioni è stato specificatamente associato a una relativa conservazione, anche in età avanzata, delle capacità linguistiche e delle conoscenze generali, come il vocabolario.

Quando l’invecchiamento diventa patologico?
La conoscenza delle caratteristiche dell’invecchiamento cerebrale ci permette non solo di capire meglio il funzionamento del cervello che invecchia in un individuo in buona salute, ma ci fornisce anche un valido punto di riferimento per comprendere processi degenerativi come possono essere per esempio la demenza di Alzheimer e il morbo diParkinson.
La malattia di Alzheimer rappresenta la forma più comune di demenza associata all’invecchiamento, con una prevalenza del 6,5% dopo i 65 anni che raggiunge addirittura l’11-39% dopo gli 85 anni. Per quanto riguarda la malattia di Parkinson, l’alterazione del sistema di neurotrasmissione dopaminergico suscita un sempre maggiore interesse per la comprensione dei meccanismi di invecchiamento cerebrale. La sua prevalenza è dell’1,5% dopo i 55 anni e aumenta con l’età.
La possibilità di individuare eventuali fattori predittivi dell’evoluzione di un quadro patologico permette interventi significativi. Per tale ragione le ultime ricerche si sono concentrate su una condizione nota come Mild Cognitive Impairment (MCI),ovvero una condizione caratterizzata dalla presenza di un profilo cognitivo diverso rispetto alla popolazione anziana con medesime caratteristiche, ma non sufficiente a porre diagnosi di demenza e che non causa disturbi funzionali di gravità tale da compromettere la vita quotidiana.
La diagnosi di MCI è importante poiché, in alcuni casi, rappresenta la fase preclinica della demenza permettendo di individuare i segni della malattia in fase precoce e di rallentarne la progressione. La classificazione del MCI distingue due principali categorie, amnesico e non-amnesico, a seconda della presenza di deficit mnesico o di altro deficit cognitivo. Studi recenti sostengono che le  forme amnesiche costituiscono generalmente la forma preclinica della demenza di Alzheimer, mentre le forme non anamnesiche evolvono solitamente in altre forme dementigene (per esempio la demenza fronto-temporale). Una diagnosi precoce, inoltre, è funzionale a rispondere in maniera concreta alle preoccupazioni della persona ammalata che “percepisce” l’inadeguatezza delle proprie prestazioni. Fare finta di nulla o imputare tutto all’età allontana la persona ammalata e ne accentua la sensazione di frustrazione. Ma a cosa deve prestare attenzione un familiare? Quali sono i campanelli di allarme di un invecchiamento patologico? Ecco alcuni sintomi che possono suggerire la presenza di una demenza:
– Difficoltà ad apprendere e ricordare nuove informazioni: la persona tende a essere ripetitiva, fa fatica a ricordare il contenuto di informazioni recenti, appuntamenti ed eventi? Perde spesso oggetti, per esempio le chiavi di casa? A difficoltà a utilizzare nuovi device?
– Difficoltà a eseguire compiti complessi: la persona fa fatica ad effettuare attività che richiedono più fasi in sequenza? Per esempio preparare un pasto, farsi la barba, guidare l’auto, abbottonare la camicia.
– Difficoltà di Orientamento temporale, topografico e spaziale: la persona ha difficoltà a ritrovare la via di casa? Si perde in luoghi familiari? Non è in grado di sapere in che giorno è o in che mese siamo?
– Linguaggio: la persona ha difficoltà nel trovare le parole per esprimersi? Utilizza parole generiche come “coso” o “cosa” o usa ampi giri di parole? Non riesce a trovare il nome delle parole?
– Comportamento: la persona appare più passiva, apatica, meno coinvolta nelle faccende familiari? Non trova piacere nelle attività che prima apprezzava? È più irritabile del solito, diventando sospettosa o facendo accuse infondate? Ritiene che vi siano dei ladri in casa?
Come avrai avuto modo di capire, i cambiamenti legati all’invecchiamento non sono una malattia. Il cervello, invecchiando, subisce alcune modificazioni che si ripercuotono anche a livello funzionale. In altre parole, ogni età ha le sue perdite e i suoi guadagni. Tuttavia, in alcuni casi è difficile distinguere se tali cambiamenti fanno parte del processo di invecchiamento o se sono dovuti a una condizione patologica. Nel caso delle funzioni cognitive, è opportuno richiedere una consulenza da uno specialista quando le “normali dimenticanze” assumono una connotazione clinica. Per esempio quando si presentano difficoltà di memoria in modo insidioso, quando il disturbo interferisce con le abilità della vita quotidiana e quando a breve distanza emergono altri disturbi strumentali (es. linguaggio).

Articolo scritto con la collaborazione della Dott.ssa Marcella Franco

Bibliografia consultata

Bianchetti, A., Trabucchi, M. Alzheimer. Il Mulino (2010).-

– Cesa-Bianchi e coll. Invecchiamento Biologico e Psicologico. Estratto dal libro di testo Paolo Moderato, Francesco Rovetto, Psicologo: verso la professione,cap.04 (01-18).

– De Beni, R., Borella, E. Manuale di psicologia dell’invecchiamento. Il Mulino, Bologna (2009).

Prandelli, S., Faggian, S., Pavan, G. Protocolli di intervento per le demenze. Franco Angeli (2008).

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