Dottore ho l’Alzheimer!

Frequentemente nella pratica clinica mi capita di ricevere persone che si presentano con l’“autodiagnosi” di demenza, esclamando: “Dottore sono sicura di avere l’Alzheimer!”. Nella maggior parte dei casi si tratta di preoccupazione rispetto alla percezione di una ridotta efficienza cognitiva rispetto al passato. Facciamo un pò di chiarezza! Prima di entrare nello specifico delle condizioni cliniche, è necessario dire che il normale e fisiologico processo di invecchiamento, comporta una riduzione dell‘efficenza cognitiva (soprattutto in alcuni domini cognitivi) pur non rappresentando una condizione di malattia. Per esempio, facendo un paralellsimo con la sfera motoria, una persona di 70 anni non ha la stessa efficenza fisica di un ventenne ma questo non vuol dire che abbia una patologia motoria.
Un altro concetto da chiarire riguarda il fatto che l’Alzheimer (nonostante sia la condizione più diffusa) non è l’unica forma di demenza.
La demenza, infatti, è caratterizzata da deterioramento cognitivo cronico-progressivo, in cui il declino delle funzioni cognitive (quali la memoria, il linguaggio, il ragionamento, la capacità di pianificare e organizzare) interferisce  con le attività della vita quotidiana (lavoro, interessi, attività ordinarie, sia complesse come la capacità di fare la spesa o di assumere correttamente le medicine, o più semplici come lavarsi e vestirsi) e con le relazioni interpersonali. Generalmente vengono distinte demenze primarie e demenze secondarie. Le forme primarie più frequenti includono la demenza di Alzheimer, la demenza Fronto-temporale e la demenza a corpi di Lewy. Fra le forme secondarie le più frequenti sono la demenza su base vascolare e la demenza conseguente a malattia di Parkinson.

A: cervello normale B: atrofia cerebrale, una delle alterazioni tipiche della demenza di Alzheimer

E’ opportuno richiedere una consulenza neuropsicologica quando le “normali dimenticanze” assumono una connotazione clinica. Per esempio quando si presentano difficoltà di memoria in modo insidioso, quando il disturbo interferisce con le abilità della vita quotidiana e quando a breve distanza emergono altri disturbi strumentali (es. linguaggio).
In alcuni casi, la fase di esordio coincide con alterazioni del ritmo sonno-veglia, con modificazioni dell’umore (generalmente verso il polo depressivo) e con l’accentuazione di alcune caratteristiche di personalità.
Il trattamento della demenza comprende una serie di interventi, farmacologici e non farmacologici, rivolti non solo al controllo dei deficit cognitivi, ma anche alla cura dei sintomi non cognitivi, delle malattie coesistenti, al miglioramento dello stato funzionale o mirati a fornire un supporto al paziente e alla famiglia durante il decorso della malattia. Risulta necessario essere consapevoli che l’evoluzione della malattia impone a chi assiste al malato un costante adeguamento del proprio atteggiamento e delle proprie competenze alle mutevoli condizioni della patologia. È altrettanto importante sapere che, malgrado l’evoluzione progressiva della malattia, c’è sempre spazio per fare qualcosa, affinché la persona viva con dignità. C’è sempre spazio per promuovere una buona modalità di confronto con i problemi posti dalla malattia per favorire il benessere e la qualità di vita della persona assistita e dei suoi familiari.

Bibliografia consultata

De Beni, R., Borella, E. Manuale di psicologia dell’invecchiamento. Il Mulino, Bologna (2009).

– This guideline replaces ‘Guideline on medicinal products for the treatment of Alzheimer’s disease and other dementias’ (CPMP/EWP/553/95 Rev. 1). European Medicines Agency, 2018.

– Trabucchi M. Le demenze. Milano: UTET, 2005.